Luigino Paoli
L'ABBANDONO
… Improvvisamante … Luigino sembra perdersi.
La sua esuberanza si affievolisce e lentamente si spegne il clangore della sua pittura così cangiante, così provocatoria.
Egli stesso spiega la propria metamorfosi:
«In 10 anni o poco più si è concentrata tutta la mia attività di pittore e artista, dalla fine degli anni 80 a tutti gli anni 90.
Da allora ho dipinto soltanto qualche quadro su commissione, ma sempre meno fino a declinare qualsiasi proposta che mi arrivava.
Ho conosciuto e ho esposto con grandi artisti come Riccardo Schweizer che in una sua dedica mi definì “macchina dei sogni” e Ennio Lovatti solo per citarne alcuni. Quando ero giovane e si parla dall’adolescenza ai 30 anni anche la gente mi faceva sentire importate e straordinario, talentuoso e originale perché ho sempre dipinto ciò che volevo e che sentivo, non per vendere, ma per meravigliare, stupire, incantare e stordire con la mia pittura surrealista, onirica e certamente provocatoria.
Ovviamente se capitava non disdegnavo di vendere, ma non era quello il mio scopo.
Ho dipinto tantissimi quadri non li ho contati, forse oltre 200, poi ho eseguito disegni su vetro, murales anche a Trento in una casa privata, oltre che in Germania.
Casa mia è in gran parte affrescata, è il museo privato delle mie opere. Col passare del tempo e le circostanze della mia esistenza mi hanno fatto perdere l’ispirazione. E riflettendo su questa condizione della mia esperienza, ho capito che sono un uomo come gli altri, niente di particolare e non un grande artista come un tempo la gente mi faceva sentire.
Quand’ero giovane amavo mettermi in mostra, farmi notare, far parlare di me comunque, poi invece ho smesso per sempre… sono più discreto, meno vanitoso e certamente anche più pigro e disincantato.
Però quello che è rimasto delle mie opere è come una traccia indelebile che ha impresso un periodo glorioso (nel mio piccolo, si capisce) della mia vita, di cui sono fiero e orgoglioso»
(I testi sono quasi completamente tratti dal sito www.tuenetto.it)

È l’epilogo un po’ malinconico di un’esperienza artistica che prometteva una grande affermazione e tuttavia a noi piace pensare che anche questa scelta di Luigino, così radicale e però coerente con la sua creatività cristallina, sia per se stessa una forma d’arte.