IL FATTO
Delitto a Taio. – In pieno mezzogiorno due sconosciuti entrarono negli Uffici della Cassa Rurale di Taio e intimarono al cassiere, Pio Zambiasi d’anni 40, di consegnare loro tutto il denaro. Rifiutatosi, lo Zambiasi fu freddato con arma da fuoco. I banditi, minacciando la gente accorsa, riuscirono con biciclette a dileguarsi. Ben presto, però, furono acciuffati dalla stessa popolazione.
I due malviventi rinchiusi nelle carceri di Trento, sono i due fratelli Giovanni e Fiorino Scalfi di 21 e 28 anni di Ragoli.
Il delitto ha suscitato ovunque enorme costernazione.
I funerali della povera vittima, che ha lasciato con la vedova, due piccoli orfani, sono riusciti una grande manifestazione di profondo cordoglio.
Ai familiari dello Scomparso, fra i quali il fratello Monsignor Marino Zambiasi, giungano anche le più sentite condoglianze di “Vita Trentina”.
Il fatto è successo il giorno 21 agosto 1946.
(Articolo pubblicato sul settimanale Vita Trentina di giovedì 29 agosto 1946.)
IL PERDONO
TAIO. Ricordo di un perdono.
A pochi mesi dalla morte del sacerdote Marino Zambiasi e a 22 anni da quella, tragica, di un suo fratello Pio Zambiasi, forse giova ricordare un momento particolare di quel lontano 21 agosto 1946.
Per chi era a Taio quel giorno di mercato e gli eventi che lo segnarono, non gli si cancelleranno facilmente dalla memoria. Il correre della gente verso l’uscio della Cassa rurale dopo gli spari, due giovani che fuggono in bicicletta sparando ancora, tutti che urlano, inseguono, la notizia dell’uccisione dello Zambiasi, il fermo e il ritorno dei malcapitati, trascinati verso la piazza e poi l’esasperazione spinta fino a propositi di linciaggio: ricordi tristi e duri.
Ma ciò che vale la pena ricordare e sottolineare fortemente si inserisce questo punto.
Un sacerdote, don Marino Zambiasi accorso a piedi da Revò, dove era in cura d’ anime, in ginocchio davanti alla gente urlante, le braccia alzate e le mani tremanti, chiede perdono per i due uccisori: “Io perdono, perdonate anche voi!”.
Don Marino era fratello dell’ucciso…Aveva appena visto con l’angoscia che ognuno può immaginare, il corpo del fratello, le due creaturine che lasciava orfane e la disperazione della famiglia. Don Marino non solo donava il suo perdono, ma chiedeva anche quello degli altri che sembravano non poter perdonare in quel momento.
A Taio si conosceva e si stimava Pio Zambiasi e si era già intuito il suo sacrificio per le famiglie del paese. E il perdono di don Marino seguì i due Scalfi anche nelle aule dei Tribunali con raccomandazione di clemenza; perfino alla cella dell’ergastolo di Volterra fece giungere il perdono della famiglia e suo.
Qualche tempo fa uno dei fratelli Scalfi da Volterra scriveva al sottoscritto e lo pregava di inviargli una fotografia di don Marino: voleva farne un grande ritratto a olio “perché – diceva – la nostra riconoscenza a quel sacerdote sarà perenne e la sua bontà non potrà cancellarsi dal ricordo di quel giorno e dei giorni che lo seguirono”.
Se per Giovanni e Fiorino Scalfi c’è una luce di speranza umana, don Marino ne fu un artefice, se la fiducia in Dio li potrà consolare sarà perché don Marino con la sua bontà lo aveva tanto bene rappresentato.
Questo mi premeva ricordare alla cara gente di Taio e a quanti ebbero modo di conoscere e apprezzare il mite sacerdote di Dio.
E forse questo breve cenno di cronaca potrà far sorgere qualche proposito di bontà e di pace verso chi ha fatto del male anche a noi, personalmente. E ci potrà venire spontaneo e facile un ricordo di preghiera per i due fratelli Zambiasi e anche per gli altri due fratelli che soffrono lontani dalla famiglia per un male fatto in età molto giovane.
Ma come solo Dio sa fare, anche da un evento tanto triste, ne è venuto un esempio di bontà e di perdono che può far tanto bene a chi ci ripensi.
Don Mario Rauzi
(Articolo pubblicato sul settimanale Vita Trentina di giovedì 22 agosto 1968.)
LA FAMIGLIA ZAMBIASI ED IL PERDONO
Come narrato nell’articolo di Leone Chilovi al perdono, invocato da don Marino Zambiasi, seguì quello della famiglia che incontrò i due fratelli dopo la loro condanna all’ergastolo. Giovanni Scalfi, in carcere, imparò a dipingere ed in segno di riconoscenza regalò ai Zambiasi un quadro che vedete raffigurato sotto insieme al crocefisso impugnato, il giorno dell’omicidio, da don Marino per fermare la folla inferocita.

